martedì 29 settembre 2015

"Foglie e radici" - Mini silloge premiata al "Città del Galateo" III Edizione 2015

Vi propongo la silloge premiata al primo posto al Premio Internazionale di poesia e prosa "Città del Galateo" III Edizione, il 26/09/15 presso il Palazzo Marchesale di Galatone, nello  splendido ristrutturato Frantoio ipogeo.
 
Prima voglio riportarvi però la motivazione ricevuta per la premiazione della mia silloge:

Foglie e radici
 
Ci sono i ruoli e l’azzeramento dei ruoli, in questa raccolta che si presenta come una saga familiare in quartine. L’autore esplora i legami familiari del suo albero genealogico, si riconosce piccolo dinanzi alla saggezza del padre e all’amore della madre e cerca d’immedesimarsi nel ruolo di figlio, pur se anch’egli convocato a fare il genitore.
 
“Figlio ritorno con i miei fantasmi
e ciò che sono crolla nello specchio
rimane l'uomo forse mai cresciuto
quello più illuso di lasciare un seme”
 
Un seme che attecchisce in versi straordinari.
 
 
 
 

Rughe di un’orfana memoria
 
Nemmeno più mi chiedo chi ha permesso
di falsare questi giorni al mio passo
nel respiro di conchiglie all’orecchio
ad ovattare ogni suono e il mio sangue;
 
è mesto il mio salire le tue scale
sapendo, madre, di un confuso sguardo
fra risacche d’ogni sogno smarrito
e  le rughe di un’orfana memoria;
 
 è Universo sovrapposto il tuo viso
al miele che leniva le mie croste
con pillole di baci divertite
al misurare il mondo con ginocchia.
 
 E fa male, ritrovarti bambina
sapendo tutto ciò che ho da tacere
non capiresti ed io mi sento solo
fra le braccia che piano sto perdendo.
 

 
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Si nasce vergini
 
Si nasce vergini
poi la vita
con appendici
di turgido dolore
deflora poco alla volta
l’ingenuo sorriso
di chi mai sospetta lutti.
 
 E adesso sei tu
bocciolo di giglio
fra i rovi dei nostri affanni
che puoi tendere carezze
al viso segnato di tua nonna
che mi fu madre
e lo è di te due volte.
 
 Ci sarà  forse il tempo
di un’ultima fotografia
sorrisi da stirare negli anni
e rimpiangerli seppiati
prima che il rammarico
ti coglierà nudo
in una notte di ricordi sonori
 
 e quasi senza accorgerti
saranno i nostri volti
che vedrai ricamati
dalla mano di tuo figlio
e il consapevole tuo pianto
annullerà le distanze
nel tempo infinito.
 
 
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Mamma
 
Solo gli occhi si alternano di luce
fragile corpo che non ti appartiene
leggera come piuma nella brezza
pesante la distanza dei ricordi;
 
le ossa che trafiggono lenzuola
feriscono pupille impreparate
e cerco nelle forme spigolose
il morbido giaciglio di un sorriso.
 
 E adesso che ho bisogno di un consiglio
recidi il mio cordone fatalmente
ma è tuo soltanto il volo d'aquilone
nel cielo di una luce che guarisce.
 
Imbroglio il tempo con le mie illusioni
parlandoti di giorni a te preclusi
innalzo palafitte sui pendii
di dune fra  tempeste d'acre sabbia
 
 e trema la mia mano sul tuo viso
cercando l'attenzione di uno sguardo
vorrei parlarti ancora della vita
che un po' mi togli se tu non mi parli.
 
 E sgrano ore di contraddizione
volendo salutarti e non lasciarti.
 
 
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Il tuo sguardo adesso
(Papà)

 
Adesso che non ho più il tuo sguardo
a incanalarmi l’inedia opposta
mi fermo, immemore di me stesso,
dentro i confini della tua storia;
 
 mi tocca di ingoiare senz’acqua
il placebo dei mulini a vento
che hanno macinato il rosario
dei tuoi giorni d’inerzia finale.
 
 Hai vissuto la vita che hai scritto,
tenace su errori di battuta,
poi chiudendo il tuo libro in silenzio
hai lasciato parole nell’aria;
 
 sulla stessa ringhiera, più vuota,
accarezzo il tuo abbraccio di terra
e mi vedo ripetere i gesti
nel tempo che vincerò al mio tempo.
 
 E adesso che sono io il tuo sguardo
posso rivedermi oltre il passato.
 
 
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Le befane non sanno invecchiare
 
Un sacchetto di frutta e pastelli
un pupazzo di uvetta e di pane
i risvegli nel freddo imbiancato
mi aspettavano a passi curiosi
 
 L'emozione di un rito concluso
nei regali a sancire magia
di una vecchia su scopa volante
che inquietava i miei giovani anni
 
 Dei Re Magi a portare i tre doni
a quel Bimbo d'eterno fulgore
l'eco solo restava a dottrina
mentre a casa spaiavano calze
 
 Era l'ultimo giorno festivo
prima di un ritrovarsi tra i banchi
ora che la mia scuola è la vita
la vacanza è il sorriso di un figlio
 
 Ma è salata la calza dei dolci
del tuo fingerti grande in dispetto
alle attese dei nostri ricordi
per rivivere un altro stupore
 
 Il tuo dar per scontato il momento
rinnegando finzione voluta
è un confine che mai ha un ritorno
salutando per sempre l'infanzia
 
 Ma è normale, mi dico tacendo,
e nascondo quel groppo che ho in gola
in dispetto ai miei bianchi capelli
le befane non sanno invecchiare.
 
 
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Quel suo primo amore
 
É caduta già prevista nel volo
quando per la prima volta libriamo
ma il disagio di una terra che graffia
somma i tagli che terremo in memoria
 
 Nell'incredulo guardare orizzonti
ormai orfani del viso eclissato
già scordiamo il calore di un sorriso
che scioglieva, nel futuro, l'incerto
 
 E quel dolore di un cielo spezzato
ha infine rivestito anche mio figlio
che ha le ali di cera ancora calda
e un freddo mai pensato nel suo abbraccio
 
 Io lo guardo e riconosco me stesso
ed in doppia valenza mi fa male
ma nessuno ha mai inventato parole
che il tempo solo riesce a balbettare
 
 Altre piume di volo l'aspettano
ovunque dove mai potrà pensare
ma all'angolo di un ritrovato sguardo
starà in agguato quel suo primo amore.
 
 
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L'inverno sul viso
 
Dal fuoco del tuo personale inferno
sputi l'inverno in gelide parole
e la tua bocca mi schiaffeggia il viso
e morde le paterne mie certezze
 
 Figlio ritorno con i miei fantasmi
e ciò che sono crolla nello specchio
rimane l'uomo forse mai cresciuto
quello più illuso di lasciare un seme
 
 Ora il silenzio media questa sera
mentre il sipario ha chiuso già il sorriso
e la domanda che mi pongo ora
ha la risposta in tutti i tuoi domani
 
 Tu che di me sei più forte davvero
nel rispetto puoi vincere il tuo Viaggio
perché il più fragile è proprio chi ama
di quell'amore che rende più forti.
 
 
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Sperando quel sorriso al tuo voltarti
 
Sono le parole che inchiodo in gola,
pesanti sulla ruga di un sorriso,
quelle, tra tutte, che meno sopporto
e il silenzio che ti grido mi turba
 
 Vorrei che tu mi dessi le risposte
per tutte le inespresse mie domande
ma il tuo svoltare in gioventù ferita
avalla i miei giudizi in presunzione
 
 Ed ora manchi nei complici sguardi
tra i ricordi del tuo guardarmi fiero
mentre ascolti, insegnandomi orizzonti,
azzerando i nostri ruoli già scritti
 
 Nei tuoi anni ribelli mi rivedo
tra i dinieghi che ho chiamato esperienza
ma sapere quanto costa il dolore
non fa sconti al tuo comprarne un quintale
 
 Sono nudi i tuoi piedi sopra lame
di un sentiero intrapreso non per scelta
ho le scarpe bucate dal mio tempo
mentre tu tieni le tue tra le mani
 
 Posso solo guardarti da lontano
tenendoti nel cuore in apprensione
e sognare di abbracciarti vincente
nonostante il silenzio che ci perde
 
 Ciò che è vero è che non so come fare
non avendo mai trovato un manuale
che possa poi spiegare un figlio al padre
o almeno palesarmi una certezza
 
 Resta amore che in pudore zittisce
oppure che all'orgoglio si nasconde
resto io due metri dietro le spalle
sperando quel sorriso al tuo voltarti.
 
 
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Con lame di dolore nel suo petto
 
Sono stanco di non sentirmi a casa
quando dopo le fatiche arriva il cruccio
del disagio di un figlio con sé stesso
troppi gli assiomi a rimpallarsi colpe
 
 E a svuotarmi è la sterile impotenza
di un percorso che vuole le sue scarpe
darei tutte le mie illuse rivalse
per sorrisi che lui possa indossare
 
 Se solo immaginasse quanto è poca
la fragile distanza alle risposte
cambiando prospettiva al basso sguardo
per affermarsi in quello che lui vale!
 
 Però quest'altra notte mi ferisce
con lame di dolore nel suo petto
potessi medicar con le parole
ma ho solo il mio silenzio a gridar forte
 
 E scopro che il mio bene è la sua vita
e nulla vale che non sia a lui dato
il senso dei miei giorni ormai calanti
son le salite vinte dal mio sangue.
 
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Padre e figlio
 
Sei ramo che allontani la radice
nell'unico tuo viaggio verso il sole
lei sente la sua linfa che ti giunge
tu senti frutti e foglie nella brezza
 
 Vicino alle altre fronde a rispecchiarti
dal tronco la distanza infine sfugge
e il cieco mormorare di corteccia
non senti ormai proteso alla tua luce
 
 Eppure il quieto faggio ti dà slancio
e ascolta tutti i passeri sul palmo
il nome che si è dato ti contempla
ma il tuo volare alto lo distanzia
 
 L'autunno giungerà a spogliar le ali
e allora attingerai da quella forza
al dunque consapevole del tutto
di un nome e di una linfa che completa
 
 e i frutti non cadranno mai distanti
dal ciclo di stagioni del tuo mondo
ed ogni fine è solo un nuovo inizio
costante la radice a sostenerti.
 

 
FINE
 


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