lunedì 9 dicembre 2013

Terza puntata della recensione a "Lo scopatore di anime" di Pablo T


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Recensione introduttiva

Seconda puntata 

Siamo al quinto capitolo. Breve. E già siamo obbligati a rileggere due volte il primo paragrafo perché tanta profondità non può essere contenuta in una sola lettura. O forse è un pretesto per ritrastullarmi, tra dita di pupille, pensieri in prestito da farmi rimpiangere  non essere miei. Ma è così da molte parole. Un centellinare d'organolettica curiosità cercando di identificare persistenze e retrogusti di nicchia, come un pregiato "Sfursat" valtellinese o un Sauvignon "Quartz" di acrobatiche sfumature... quell'intenso "piscio di gatto" ad esaltarsi al gusto in onde delicate ed aromatiche. L'inaspettato dentro elevate aspettative!
La notte si annuncia da suoni e immagini quasi jazzistiche: una tromba solitaria in lontananza, un cane che taglia lo sguardo indolente nel suo dinoccolato attraversare pensieri ancora socchiusi. E col suono di grida urbane riconosciute si apre la finestra su Gerard, un compagno di questi viaggi notturni di Rendié. Un'isola in guerra col mondo delle buone maniere, in un anticonformismo figlio della sua omosessualità. Non "Checca" né effeminato, si chiedeva, rispondendosi che forse non era il suo corpo ad essere diverso ma la sua anima. Ma chi era diverso? E da chi?
Rendié scende in soccorso dell'amico ubriaco traghettandolo in porti sicuri, anima affine dallo sguardo non ingannato dall'apparenza, Gerard, e con zavorre di sensi di colpa che prima o poi avrebbero bruciato tutto il suo carburante, spegnendolo. Gerard è un retrogusto amarognolo nella sua consapevolezza d'inadeguatezza a prescindere. La sua frase di commiato, con voce impastata dall'alcool è una perla assoluta di saggia e lucida consapevolezza che ci fa riflettere sulla qualità dell'esistere demandata agli altri, volenti o nolenti.
"Quanto può tenerci in errore il giudizio degli altri, quanto può condizionare le nostre scelte, scardinare le certezze, confondere le intenzioni e separare gli affetti. Eppure, sappiate che, quando la sua bocca avrà terminato di masticare le nostre cose più care, a noi rimarrà il rimpianto di averlo nutrito di troppa considerazione."
Rendié spegne l'interruttore e va via, nella riflessione che è esattamente quello che tutti sanno fare meglio, quell'abitudine di allontanarsi gli uni dagli altri.

E con lui entriamo nel meraviglioso Universo del sesto capitolo. In una notte dentro la quale lui aveva tacitato il mondo e tutte le voci, da "quella fuori luogo degli idioti" fino a quella del "buonismo di quelli che giustificano tutto." Nel suo appartamento e già nostalgico del dissetante fiume della strada. Alla porta suona, e si presenta davanti a lui, una donna.

Qui sono obbligato a fare una retromarcia interpretativa, o meglio, esplicativa. Il rischio ventilato di un recensire "work in progress" che può non contemplare un personaggio che scopri in seguito essere "portante" di trame fondamentali. Un mio errore interpretativo, indubbiamente. Nel terzo capitolo, nella ridda di nuove empatiche sensazioni da esplorare finalmente in prima persona, dentro geografie a tutto tondo di un animo preso in prestito, avevo accantonato un incontro che da glissare non era. Certo, in una recensione "seria", che si inizia a parole scritte terminate, e quindi inappellabili, l'avrei sicuramente messa al centro della scena. L'avrei comunque dovuto fare perché i presupposti e gli spunti emotivi c'erano già tutti.  Mea culpa. Ma tra queste pagine la mia paura, lo confesso, è quella di ritrascriverle tutte perché tutte degne di sottolineature epidermiche e sotto sterno. Dunque, desidero convenire, certe scelte vanno comunque sempre fatte, corrette o meno.
Rewind: la donna alla porta Rendié l'aveva incontrata in uno dei soliti bar-approdo delle sue notti. L'aveva studiata e ammirata, dal suo trespolo distante, nel di lei coriaceo e deciso esser donna. Gambe da gazzella, bionda e muro invalicabile per le miserie che cercavano di abbordarla. Rendié l'aveva capita e lei aveva "riconosciuto" lui. Lei gli aveva chiesto, sfidando il suo sorriso, di dirle qualcosa d'intelligente per evaporare i cattivi pensieri e il nostro eroe underground semplicemente le aveva detto: "Quanto sei intelligente, donna. Mi scoperei la tua intelligenza." Ne risero. E nel letto di lei scoparono le proprie solitudini e i piccoli ritagli di tempo che in quel momento appartenevano loro.

La stessa donna che ora Rendié si ritrova davanti alla sua porta. Stupito la fa entrare e in quell'immediato abbraccio stretto Rendié comprese immediatamente la sua valenza: "un abbraccio dell'anima che si  fa carne e si rende visibile per un attimo." E ancor prima che le mani producessero un contatto, prima che labbra si mordessero, gli occhi si erano già dissetati e gli universi allineati. Il "Big Bang" già iniziato.
E' un'immersione sublime nell'amore in sfaccettature - carati - raramente espresse - esposti - così efficacemente. Pagine, queste, letteralmente da sottolineare compulsivamente come se il sottolineare un concetto bastasse a farlo tuo per sempre. Una matrioska di acrobatiche perle lessicali, dialoghi quasi troppo profondi per pensarli veri, non fosse che già ti sei dimenticato di essere solo un lettore, per giunta privilegiato voyeur, ma affermeresti sotto giuramento che tue sono quelle parole che chiudono e racchiudono il senso più segreto dell'amore che rifulge da quel diamante insito in ognuno di noi.
Una tra le pagine più suggestive sul mistero dell'amore. Misterioso per nostra inculcata e addomesticata ignoranza, va detto. L'amore non serve dirselo: si banalizzerebbe. Forse inizia ma poi, se parliamo di Amore, non finisce mai.
L'infinito dentro una parentesi. E la seconda parentesi è un dato di fatto che sia chiusa. "A chi parte resta un calco del suo cuore. A chi resta, parte un ologramma del suo cuore. Non ci sono soluzioni se non nella testa.” Rendié era rimasto e Regina, questo il suo nome, era partita. Ma l'amore è.
"Amore come aria? Sì. Perché non si può controllare l'aria, puoi cercare di respirarla finché c'è."
E lo farai fino all'ultimo istante vitale.
Rendié stesso conclude: "... Perché lì dove avevo lasciato il cuore, lì c'era la mia vera residenza. La felicità era solo quell'istante in cui tutto ciò che gli altri non riuscivano a vedere ... ti apparteneva."

Il paragrafo immediatamente successivo, nemmeno il tempo di far sedimentare questo stordimento per l'inattesa epifania di un attimo d'eterno, ti riproietta nella mente del nostro protagonista, appeso nell'indefinito, a parare sprazzi di luce sulle abbaglianti inconoscibili definizioni dell'anima, in un elenco a fiato corto a confermarti un'anima, invisibile ma tua a pieno grado. O meglio, tu in qualche grado figlio della sua fertile immortalità. Pagine senza trama, invero drammatiche per un casuale recensore, come il sottoscritto, di storie scritte, ma altresì pagine sempre portanti di ogni trama inventabile anche dalla più feconda fantasia. Dovrei riportare ogni singola riga, ogni singola frase, che ha squarciato di luce radicate consapevolezze. Non mi sembra corretto. Posso solo invitare gli indecisi ad entrare in questo amplesso di Spirito. Perché ciò che pensi di aver davvero catturato è solo la veste di un'anima invisibile ma presente nella carne. L'anima non è nulla di ciò che mai potremo pensare. Non ci è semplicemente dato misurarla in parametri  umani. Forse nei sogni.
"Ai sognatori, dunque, l'onere di descrivere il cielo, a tutti gli altri l'onore di usare quel cielo come unico tetto."

E continuano le immagini, le similitudini sorprendenti. Che fare se non farsi travolgere? Impossibile descriverle, o peggio ancora, sintetizzarle. La bellezza che ho incontrato non può essere supportata dalle mie altre poche e limitate parole. Non posso certo copiare perle di verità da condividere. Ma la verità è solo esistenziale. Entrate nel libro e vivetele sul vostro discernimento allenabile!
Cominciamo quindi a comprenderlo meglio, Rendié. Quest'uomo "underground", come lui stesso si dichiara, che da sempre viaggia controvento "resistendo alle sferzate dell'esistenza."
Un uomo che tiene ancora accesa la speranza a discapito di un infinito rifrangere d'onda contro il medesimo scoglio. Nel suo cinismo pregno di consapevolezza non la nega a nessuno, a priori. Non a se stesso, soprattutto. Chiunque può liberarsi e lo può fare quando finalmente smette di credersi libero.
Perché "la Speranza esiste ... è sguardo che emerge dal presente, alla ricerca spasmodica del futuro."
Domani potrà essere tutto se il seme adeguato è stato correttamente immesso nel sempre fertile presente, a discapito di aridità innegabili. Aridità che è invece pur sempre possibile negarle. Basta affermare la Speranza nella sua concezione più vera e profonda. Più attiva ed agente.


Oliviero Angelo Fuina

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