venerdì 13 dicembre 2013

Quinta e ultima puntata della recensione a "Lo scopatore di anime" di Pablo T



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Eccomi negli ultimi intensi capitoli di questo Libro/Manifesto di Pablo.
E per non smentirsi, Pablo ci fa rimettere in discussione tutto. Anche il presunto "certo" precedente.
Rendié, in macchina con Regina, appena usciti dal party, ripercorre con onestà interiore il suo sentimento per lei. Quasi un pretesto per una intrigante disamina tra i due pianeti così dissimili, proprio come se appartenessero a due universi diversi, che sono l'uomo e la donna. Ed è ovviamente quest'ultima ad uscirne vincitrice nella sua splendida e unica complessità.
"Di una diversità totalmente profonda e imperscrutabile da far timore persino ai viaggiatori dell'abisso". L'uomo immaginato come un libro aperto di una banalità primitiva, la donna "matematica e machiavellica, umorale, contorta, volubile di pensiero, romantica, sessuologa, imprevedibile, severa, zuccherosa, possessiva e, allo stesso tempo, selvatica."
Un proiettile, sintetizza splendidamente, "impazzito che non seguiva nessuna traiettoria balistica, rimbalzava, detonava e ritornava in canna." Palese l'inutilità di cercare di capirla, potevi solo amarla o detestarla.
Nel suo osservarla taciturna, Rendié la percepisce distante, pur accanto a lui. Qualcosa, è ovvio, non va. Si chiede di conseguenza in cosa ha sbagliato. Qual è il passaggio che sta determinando una discrepanza di risultato. Fedele a se stesso Rendié reagisce e affronta il disagio a suo modo, schiavo del suo cliché. Schiavo di una recita, di un ruolo, che ormai lo identificava anche a se stesso.

Ecco palesarsi un ulteriore limite del pianeta uomo: credere che ogni cosa fosse giusta e perfetta. Ma così ovviamente non è. Non con Regina.
Alla fine Regina, si limita a rivelargli, chiedeva solo che lui le avesse provato a raccontare di lui e non della sua maschera collaudata per quei frangenti e quella specifica umanità.
Per non riuscire ad essere davvero se stesso, al di fuori delle sue cicatrici, la perde.
"Un alunno troppo sicuro della lezione studiata a casa, smascherato e umiliato alla cattedra della professoressa."

E' un vero e proprio "salto quantico", questo, per il nostro Rendié. Un trovarsi catapultato dentro un ottava superiore!
Lui che pensava di avere tutto avendo "ritrovato" Regina, di colpo viene smentito dall'esistenza stessa e perde di colpo lei, dopo aver già perso il lavoro e, poco prima, aver "perso" Gerard, l'amico già da lui catalogato come parte affine di umanità non mediata,  consegnatosi anche lui ad una resa personale per comodità di scelta esistenziale. O per non aver scelto di affermarsi scomodamente. Al pari del resto dell'umanita di questo arido deserto.
E Rendié stesso si rende conto, in una ultima riassuntiva considerazione, dell'evaporarsi di tutte le sue certezze di fronte a quell'unico e ultimo disconoscimento da parte di Regina, di quell' "anima gemella" riconosciuta. Come se non bastasse, in questo momento topico della sua vita - e in questo decimo capitolo -, da una puttana che gli chiede di farle accendere una sigaretta, viene a sapere che "Nadine la meretrice" (ricordate? Quella con l'anima così sporca di  vita da andarne fiera?) non c'è più. Ha dismesso la sua indipendenza per consegnarsi prigioniera ad un compagno benestante e "pappone" che dispone di lei come più gli pare.

Tante le gocce ad unirsi allo "tsunami" che stava già facendo traboccare il suo vaso! Rinnegato e sconfitto, prevalentemente da quelle certezze che l'avevano plasmato monocorde, decide di ripudiare "strafottente" tutto il sistema e l'umanità perdendosi nell' incoscienza dell'alcool e scegliendo di abbandonare la vita "in superficie", lasciando il suo appartamento e l'umanità insita che con esso aveva in dote.
Nella sua immediata volontà di bere qualcosa "insieme agli umani", si ritrova quasi come epilogo predestinato con "Al il clochard". Dalla velata promessa di fermarsi "solo quella sera" scopriamo che passano venti mesi! Mesi sommersi, da "uomo invisibile", in penombra, distante mille anni luce dal mondo in superficie. Quel mondo in superficie che l'aveva ormai marchiato come straniero tra gli stranieri.



E quindi immersione, "subway", fu.
In questo capitolo l'autore ci mostra ogni aspetto tecnico e ogni caratteristica catalogabile dell'universo sottoterra, avvalendosi di intuitive didascalie che mostrano, anche in pieghe metaforiche sorprendenti, ogni gocciolio significativo e significante. "Non è solo un posto che ha lo scopo di trasportare da un luogo all'altro. E' una discesa temporanea tra i dannati e i sopravvissuti, i passeggeri di luce e i residenti del buio"

Rendié è anche la parte che ci erudisce sull'umanità più o meno stabile che abita questo "mondo sotto".
Una carrellata dei residenti, quindi, ampiamente e argutamente descrittiva che va dai "serial painters" (i ritrattisti cortesi) che "disegnano viaggiatori casuali, senza che la loro matita sia ammalata di razzismo.", ai "busker" (gli artisti suburbani) che "offrono al passante uno spettacolo d'intrattenimento che, in verità, è pura arte." Elenca poi i senzatetto, i clochard, gli homeless, quelli chiamati dai più "barboni", gli "evitati"; nomadi del sottosuolo, "dal collettivismo sociale in gattabuia volontaria"; vagabondi nello stile di vita, tipo i "punkabestia". Uomini e donne suburbani, "gli anticristo dei beni materiali", fuggiaschi domestici, fuoriusciti dalle carceri mentali e fisiche.
In fondo a questa scala d'umanità suburbana Rendié mette se stesso, un "visitatore", come i residenti sotterranei l'avevano appellato.
Rendié ci racconta meglio del se stesso sommerso, per volontario ripudio, e di questo attuale e ultimo atto di ribellione in atto. Eclatante.
E del perché da pochi giorni era diventato leggenda. I giornali infatti avevano sbattuto in prima pagina la sua storia, la storia di questo "diverso", chiamandolo tra l'altro "il dinamitardo della subway"; l'uomo barricato nel sottosuolo che col suo fucile ha bloccato i mezzi di trasporto sotterranei.
In verità Rendié aveva voluto semplicemente isolarsi anche dagli isolati e sperimentare finalmente un agire che lo scuotesse dalla sua apatia di quelle giornate e scuotesse nel contempo l'immobilismo della città.
Barricato all'interno di una galleria, con una bottiglia di whisky, sigarette e delle gallette. Con anche un registratore che irradia, all'occorrenza, rumori di scoppio da far desistere chi volesse farlo desistere.
Rimarchevole la sua riflessione causale: "Quando siete nel bel mezzo di una battaglia, non avete scelta: armate le vostre vele contro i venti avversari, poiché viaggiare di bonaccia vi porterebbe, inesorabilmente, alla deriva."

Come già inteso, molti giornalisti riescono a intervistarlo e Rendié riesce a far passare i suoi pensieri, che in quei mesi di esilio sotterraneo ha avuto modo di filtrare e rendere più efficaci. Rendié stesso ora è un caso. Scomodo per i molti, ma sempre un caso. L'attenzione, di certo, non gli viene lesinata dai residenti del "mondo in superficie".
Col pretesto narrativo di mostrarci la prima intervista di Rendié con un giornalista, l'autore ci offre una sintesi incisiva ed efficace di ciò che intende comunicare con questo "Manifesto".
Partendo dalla propria esigenza di circondarsi di persone vere, rimarca una dignità alla quale l'uomo non dovrebbe mai rinunciare, stigmatizza quel "buonismo" di chi parla della fame nel mondo "defecando in un cesso d'oro", il consenso esterno inutile se si vuole salvaguardare un proprio vivere intensamente, un orgoglio personale come unico bene che valga, aggiungendo che l'unico razzismo che condivide è quello avverso all'imbecillità cronica.
Ribadisce a conferma che il male grave del nostro tempo è l'indifferenza, i cui sintomi sono la superficialità e l'apatia. A precisa domanda, infine, si dichiara "Idealista pragmatico", perché gli ideali "sono l'immortalità dei posteri".

Sempre tramite questa intervista , funzionale espediente narrativo, veniamo a sapere che Rendié è un poeta. Un poeta suburbano. Estrapolo dal suo intrigante e condivisibile disquisire che la poesia "accettata" è solo una merce di moda, mera piaggeria. Ecco il motivo per cui lui, quando scrive, vuole "tradurre il sangue in parole, il vino in sensi, la rabbia in versi." Una lettura che possa espellere chi legge dal mondo "e che poi lo risputi sulla Terra".
"Ciò che scrivo", aggiunge Rendié, "taglia il cielo, gioca con gli angeli, sprofonda nelle viscere e nasce e muore ancora mille volte."
E il dubbio di una commistione inestricabile tra il personaggio e l'autore, si rafforza.


Il penultimo capitolo è la somma quasi completa di ciò che con "Lo scopatore di anime" Pablo ha voluto regalarci. Lo fa con una "voce" narrante che però ora riusciamo ad attribuire a Rendié da subito. E a Pablo, ovviamente.
Per pulire lo sporco devi saperti sporcare. Questa è la premessa, la causa e la conseguenza della ribellione in atto, nella galleria occupata nella subway.

Questa "voce" sempre più reale e sempre più stentorea che emerge quasi sonoramente dalle pagine attacca l'immobilismo intellettuale e l'immobilismo in genere. Ci incita ad agire, a fare. A dare la giusta azione al pensiero non mediato e dare il giusto pensiero ad ogni azione. Non lesina sulla cruda essenzialità del suo attacco verbale e su metafore forti. E' una dettagliata denuncia al "nostro" limitarci a vegetare durante l'attesa di una morte che detestiamo. Ma tolte le due già ricordate certezze che non dipendono da noi, e cioè il venire al mondo e il morire, rimane uno spazio di mezzo dove ci è dato dare un senso al nostro essere nel mondo e dove fare appieno ciò che fondamentalmente ci viene richiesto: vivere!
Rendié grida la sua voglia di urlare la propria arte, la sua voglia di vivere, di sentirsi vivo, prima di morire. Stigmatizza il demandare l'arte più diffusa a poeti stagionali, o dell'ultima, se non della prima e unica, ora, e denuncia il compromesso dello "specchietto delle allodole" degli scribacchini "forgiati nei laboratori di visagisti editori."
Un mediocre non può parlare la lingua dei poeti, come dire che un cane non è fatto per stare sui rami degli alberi.
Ci viene quindi rivelato il senso del titolo del libro: "Qui sotto siamo solo scopatori di anime!" Il nostro uomo suburbano ci rivela meglio il senso del suo "seppellirsi" sottoterra, nel dedalo oscuro del suo voluto esilio, nella metropolitana. "Meglio due metri sotto (in un doppio senso voluto) che servi sopra."
Pagine intense nelle quali dimora tutta la ribellione compresa nello sfogo di Rendié che sarebbe da copiare letteralmente e tenere sempre nel taschino della giacca. Quello vicino al cuore. Il messaggio nudo e vero di Pablo, in ultima dovuta analisi.

E' un manifesto urlato con veemenza, queste pagine strumentali per ribellarsi alla mediocrità e alla piccolezza umana, al sapersi accontentare, schivando il sudore sporco della vita per non contaminare l'immagine di sé che si vuole uniformare all'accettazione di massa, alle addomesticate aspettative, alla ricercata approvazione esterna e ai troppi "politically correct" che sanno di spari a salve nella battaglia finale per salvare il mondo.
E alla fine si risolve in un unico grido a risvegliare gli intellettuali - quelli veri -, a combattere per affermare e diffondere concetti che scopano l'anima più che accarezzare superficialmente illusioni comode per non scombussolare il sistema. Un sistema "cannibale" che si nutre di se stesso, fino all'inevitabile propria completa ingurgitazione.
L'arte, quella consapevole e non addomesticata, contro la mancanza d'iniziativa della società civile, per mantenere inalterata un'apatia non destabilizzante per coloro che ci vogliono dare e vogliono mantenere una "sopravvivenza" imbrigliata e stantia.
Molto e molto altro ancora troverete su queste pagine, in questa esplicazione concettuale, che vi farà propedeuticamente sobbalzare dalle vostre sedie. Poco vi ho detto e molto avrete ancora da scoprire, anzi, da riscoprire nelle vostre scintille vitali, regalandovi questo viaggio con tra le mani "il dildo eterico"  come amo definirlo io.

Ma dietro a tutte queste veementi e intestine parole rimane la ferita della sua inadeguatezza con Regina, la donna alla quale voleva consegnarsi. Ferita che è stata origine di questo suo ultimo rifiuto sociale. Ora Rendié lo sa che a Regina non avrebbe potuto consegnare l'uomo che lei meritava, e che lui stesso fingeva di essere, per salvaguardare maschere frettolose di una strafottenza quasi fine a se stessa. Questo suo fermentare consapevole nei venti mesi di invisibilità e di rifiuto, e quest'ultimo pirotecnico atto di ribellione a schiantare l'apatia, sono stati indubbiamente catartici. Ma questo, sa benissimo Rendié, è un prezzo che è stato necessario pagare.
"Ci sono femmine che fanno perdere la verginità al diavolo e donne che gli fanno perdere la dignità". Questa è Regina, per Rendié: quel chiodo conficcato nella mente, così ingombrante tra i di lui fantasmi.

Siamo ora all'epilogo narrativo.
Rendié è sempre chiuso nella galleria della metropolitana. Dicono e pensano armato. Le forze dell'ordine sono quasi obbligate a chiamare un negoziatore per risolvere questo "problema" che grazie ai giornali ha l'attenzione dei tanti altri che aspettano con l'indice puntato un disastro risolutivo. Chiamano Max Puzo, uno dei mediocri soltanto messo sopra un gradino più alto dove poter pontificare con la sua cloaca mentale, in funzione di un grado o di un ruolo. Max  il pulotto, come ci viene presentato.
Il poliziotto e "il profeta", dunque.
Il negoziatore scende per risolvere questo fastidio, avendo in cuor suo la soluzione di un colpo in testa. Ma lo sa che non può eccedere in abusi sbrigativi come vorrebbe.
Brevi e significative schermaglie e disquisizioni verbali tra i due uomini, faccia a faccia nella galleria, ci ripresentano punti di vista opposti e ormai, per noi lettori, ampiamente scoperti.
Non prevale, il guardiano, sul profeta. Si rende però conto che è disarmato e non rappresenta un pericolo. Chiude il problema e il confronto e, salutato Rendié, sale e avvisa i militari che è disarmato e ritorna alle sue comode e ottuse certezze.
Rendié quindi viene scortato fuori e qui lo aspetta una sorpresa, un colpo di scena, che cambia in lui ogni prospettiva. Sorpresa che ovviamente lascio ai lettori scoprire quale.
Le migliori parole di chiusura e di commiato narrativo sono state però già scritte.
Mi limito quindi a salutarvi e ringraziare di cuore Pablo per ciò che di suo e di prezioso ha condiviso, e riscriverle in prestito:
"C'è un inizio che è già la fine e una fine che è solo l'inizio."

"Lo scopatore di anime", però, ha un ultimo stentoreo colpo di coda.
L'idealismo pragmatico, solo apparentemente una contraddizione, si manifesta in ultime parole in calce - riassuntive ed esplicite -, in versi poetici dal lungo respiro che Rendié, e Pablo per lui, ci offrono a suggello, quasi in una premessa "post narrativa" a fondersi con un significativo aneddoto editoriale che ha portato alla pubblicazione di questo Libro/Manifesto e ai ringraziamenti dovuti dell'autore che confermano le supposizioni circa la sua Regina raccontata, avallando la sensazione che l’autore si sia traslato copiosamente, in qualche modo, su Rendié. Di certo con le idee e le emozioni.
Queste poesie, vera chicca finale, sono poesie di vita, di trincea e di sangue. Poesia di cambi necessari di sguardi e orizzonti, un urlare in prima persona, esempio concreto di un predicare, non sterile, l'arte di vivere. Esortando in ultima analisi tutti noi allo stesso urlo fino a che domicilieremo in queste lande.
Un incitamento ad essere cenere prima di diventare cenere, a bruciare di vita, ad essere fuoco vivo, a manifestare l'arte di vivere e non sopravvivere.

Bene. Ho letto "Lo scopatore di anime". Non mi rimane che accendere la canonica sigaretta del "dopo".


Oliviero Angelo Fuina

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