domenica 2 giugno 2013

Da "Racconti del Mattino - Bambini del Lario"


Breve stralcio tratto da: "Il mendicante (1967)"



(...)
- E all’asilo come va ? Raccontami qualcosa – Chiese Stella mentre finiva di abbinare un numero ad un rotolo di carta igienica, già pregustando il momento di divertimento alla ipotetica vincita proprio di quel premio alla loro pesca di beneficenza domestica
- Bene...si...anche se preferisco quando sto a casa...
- A me non era mai piaciuto andarci, per quell’unico anno che ci sono andata, dopo che siamo  arrivati dalla Svizzera. Tu eri appena nato Ma...dimmi...Suor Teresina c’è ancora?
- Si, c’è ancora. Allora l’hai conosciuta anche tu ?!? – rispose Livio sorpreso non avendo mai considerato che anche sua sorella fosse andata proprio al suo Asilo.
- Purtroppo! Quella, poi, non ho mai potuto sopportarla. Era proprio cattiva! Si divertiva a mettermi sempre in castigo... Meno male che c’era la Madre Superiora! Quando Suor Teresina mi metteva in castigo qualche volta riuscivo a farmelo togliere da lei
- E’ vero!... Anche a me Suor Teresina mi fa stare in piedi con la sedia in testa nella sala coi banchi e non ho mai fatto niente di male!  Secondo lei, perché parlo o mi muovo quando si deve dormire.. Ma come si fa a dormire a braccia conserte con la testa sul banco?!? Io poi non ho mai voglia di dormire!
- E’ vero!!! Che incubo il sonnellino pomeridiano! Per me ce lo facevano fare per non far niente loro! Avrei voluto che provassero anche loro a dormire per forza così! – Esclamò ancora stizzita Stella.





L’Asilo Comunale si trovava sopra Via Dante, a Molina. Un grande e alto cancello verde compatto e chiuso  ne era l’entrata. Da dentro non si poteva sbirciare fuori, nemmeno per rubare infinitesimali attimi di libera normalità. Appena superato il cancello dell’asilo c’era un ampio spiazzo tutto in ghiaia. L’ingresso vero e proprio all’edificio comunale era proprio di fronte al cancello e vi si accedeva dopo una scala di cinque o sei gradini. Alla sinistra della scala, lungo il muro strullato bianco c’era una panchina in legno che per lo più veniva usata per aspettare i genitori o chi per essi che alle sedici ti venivano a riprendere. Sul lato sinistro dell’asilo, invece, c’era un bel prato verde che verso il retro dell’edificio stesso si affacciava sul Meria. Una parte del prato era adibito a Parco Giochi con uno scivolo, un girello e un’altalena. Ma queste due aree, il prato e il cortile con la ghiaia, erano usate dalle suore esclusivamente per tenere separati i maschi dalle femmine. Non sia mai farli giocare insieme!!!
I bambini con i quali Livio andava più d’accordo erano il Franco Ciabarri, l’Alberto Alippi e il Sandro che abitavano lì vicino, proprio a Molina, ed infine il Fabio di Via Risorgimento.
Alla destra della scala, dopo una decina di metri di parete, l’asilo confinava con le scuole elementari di Molina. Le due strutture erano divise solo da una rete alta in ferro a maglie larghe e durante la ricreazione della scuola, dal cortile dell’asilo potevano vedere tutti gli alunni giocare nel loro di cortile. Come li guardavano con un misto di ammirazione e soggezione!!!  Livio che era già nei Grandi guardava spesso quelli delle scuole con indefinite sensazioni fra il desiderio d’essere già con loro ed il timore di nuovi cambiamenti nella sua consolidata routine.
L’anno successivo sarebbe comunque stato di là a frequentare la Prima.

Va anche detto che grazie all’eccessiva severità e poco buon senso da parte delle suore dell’asilo Livio aveva anche acutizzato le sue personali sensazioni di inadeguatezza, insicurezza e poca stima di sé, avendole metabolizzate come una  propria mancanza. Tutto questo per un suo rientro sbagliato all’asilo da una malattia.




Qualche mese prima era rimasto a casa più di una settimana per una classica malattia infettiva dell’infanzia. Ricordava ancora con piacere il restare a letto a casa sua, da solo il più delle volte, tranne qualche sporadica visita giornaliera da parte della vicina di casa e della zia Vita, giusto per scaldargli il mangiare preparato la sera prima dalla mamma. La madre, infatti, a parte i primi giorni della malattia che era rimasta a casa dal lavoro, per la grande felicità di Livio, non aveva potuto non ritornarci e con tante raccomandazioni al figlio si era organizzata con questa specie di Task Force con vicini e cognata. A lui non dispiaceva restare tanto tempo da solo: aveva la radio, i suoi giochi e le sue fantasie da cavalcare. Gli piaceva inoltre essere sporadicamente coccolato e tutto questo sopperiva a sufficienza  ai pochi momenti di noia.
Come si sentì agitato quando una sera sua madre, trascorsi tre giorni da che si era sfebbrato, gli disse che il giorno dopo sarebbe dovuto tornare all’asilo!
L’indomani mattina si era vestito con gli abiti preparati dalla mamma, che facendo il primo turno, era già al lavoro, si era messo il grembiulino a quadretti bianco azzurri, con il colletto bianco, e preso il suo cestino azzurro di plastica con dentro il tovagliolo nel suo cerchietto portatovaglioli,  le posate, il suo bicchiere in plastica e una merendina per metà mattina, andò da sua zia per bere il latte e quindi già in apprensione s’incamminò verso Molina per recarsi all’asilo, cominciando ad avvertire i primi sensi di colpa per non esserci andato per tutto quel tempo, cioè per essere venuto meno al suo dovere di frequenza!
Erano da poco passate le nove ed il cancello verde era già chiuso, anche se si poteva entrare fino alle nove e trenta. Livio suonò il campanello in punta di piedi e attese col cuore che gli batteva forte. Dopo una eternità il cancello si socchiuse e suor Antonietta s’affacciò.
Notò con sorpresa Livio e gli chiese cosa ci facesse lì fuori. Con timore questi spiegò che era stato ammalato ma adesso era guarito. Burbera, la suora gli chiese se avesse il certificato medico per rientrare e Livio si sentì sprofondare ancora di più nella vergogna, non sapendo nemmeno a cosa si riferisse la suora.
Dal basso dei suoi cinque anni capì solo che senza quella cosa lì non poteva entrare, non lo volevano, e che doveva tornarsene a casa. Sconfitto e inadeguato.
Non fece la strada del ritorno piangendo unicamente per la vergogna di essere visto dai grandi per la strada. Ma dentro si sentiva morire.
Scese fino alla Piazza, girò a sinistra per Via Mazzini e avvilito tornò da sua zia.
Immaginatevi l’angoscia che provò quando trovò chiusa anche la porta della casa di sua zia. Non c’era nessuno! Infatti era Lunedì, giorno di mercato a Mandello, che si teneva ai Giardinetti, giù al lago. Senza sapere cosa fare tornò nella piazzetta, passò davanti all’Orsola e al Bottegone e si sedette sul gradino della merceria della Marina, o meglio, di sua madre, che faceva angolo proprio con Via Dante che saliva a Molina e Via Mazzini stessa. E lì aspettò sperando solo di vedere arrivare qualche persona conosciuta ma nel contempo temendone anche il giudizio per il suo essere fuori posto, al di fuori delle regole e senza giustificazioni.
Dopo parecchio tempo vide arrivare proprio sua zia che a dir poco stupita si fece raccontare tutto, lo riportò con sé a casa ma non fece alcun commento.
Forse era stato perdonato, considerò Livio.

E con spirito più leggero affrontò il resto della giornata.
(...)



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