sabato 25 maggio 2013

Gli asini





Il piano satinato del banco del bar gli doveva sembrare la balaustra di una nave nel bel mezzo di una  tempesta, tanto le oscillazioni del suo corpo assecondavano questo sballottamento interiore.
Era il mio ultimo cliente.
Voglio precisare che io gli avevo servito un unico bicchiere di vino rosso, non essendomi subito accorto del suo stato già alterato, tanto per usare un eufemismo.
Dopo aver tracannato tutto d’un fiato il liquido per lui zavorra, si affrettò a chiedermene un altro.
L’ora di chiusura era da poco superata e normalmente l’avrei esortato, deciso ma con persuasiva gentilezza, ad uscire dal locale.
Normalmente, ho detto. Ma quella sera evidentemente non lo era.
O forse la scintilla di dolorosa malinconia che leggevo fra pupille non del tutto spente mi aveva spinto ad un per me inusuale avvicinamento empatico.
Tant'è che raggiunsi con lui il problematico accordo di farlo rimanere ancora un poco con una tazzina di caffè da berci insieme al tavolino davanti al banco.
Chiusi la porta d’ingresso e mantenni l’accordo.

Berto, così si chiamava, era un “paesano”, come venivano chiamati lì in Brianza i contadini.
Era un sessantenne dal volto arato dalla fatica e bruciato dal sole e dal vento. Ma senza questa informazione anagrafica nessuno avrebbe potuto dargli con precisione una giusta età.
Il suo era un volto senza tempo.
- Te sét un brav’òmm, l‘ho capì sùbet, mé , sei un brav'uomo, lo so bene io…– mi disse quasi subito, forse grato della piccola concessione di una correzione di grappa nel caffè.
- Ma no, dai – mi schermii quasi automaticamente – è solo che così magari riesci a tornare a casa senza troppi problemi. Sei qui in macchina, no? – Chiesi solo per eccesso di scrupolo.
- Si, certo… Mica come una volta che se bevevi un po’ troppo c’erano gli asini che ti riportavano  a casa…
- Come, gli asini? – Gli chiesi perplesso non capendo a chi si riferisse con quel termine a quattro zampe
- Gli asini, gli asini…Non sai cosa sono gli asini? – Mi chiese in tono quasi spazientito
- Si, lo so cosa sono…Ma cosa c’entrano con l’andare a casa? –
Eh…Una volta non c’erano mica le macchine, sai? Quando ero ragazzino l’unico mezzo a motore che vedevo era la corriera che un paio di volte al giorno passava dal mio paese. Devi sapere che nell’unico bar che c’era, la sera, specialmente il sabato sera che la mattina dopo non dovevi andare nei campi a lavorare perché si doveva andare a messa, c’era uno spiazzo apposta dove i contadini che entravano al bar lasciavano il loro asino legato al proprio carretto in attesa che i loro padroni finissero la serata bevendo un lago intero di vino, eh…- finì con enfasi e un sorriso quasi di compiacimento per la capacità spropositata che avevano di ingurgitare “tazze” intere di vino, quasi in un solo fiato.
- …E quando uscivano – riprese Berto – non facevano altro che sdraiarsi dietro, sopra il loro carretto, e l’asino , dopo il loro “UUH” esortativo, li riportava esattamente davanti a casa loro, sapendo già a memoria la strada. Ma spesso questi asini ripartivano appena sentivano che il loro padrone era salito sul carretto. Erano abituati così.
- Comodo, però – commentai io piacevolmente sorpreso da questa soluzione per rincasare.
- Eh, si…Potevano bere tutto quello che volevano senza preoccuparsi di non essere in grado di poter rincasare – aggiunse lui a mo’ di ulteriore commento.
Poi continuò, sull'onda dei suoi ricordi:
- Devi sapere che io, da piccolino, ero proprio una peste. Mi divertivo sempre, a volte con i miei amici, a fare scherzi divertenti ai “paesani”. Tanto che spesso al mattino, quando andavo a piedi a scuola, era facile che prendessi qualche scapaccione improvviso, passando davanti a dei contadini nei campi, senza sapere nemmeno perché… Sicuramente per un qualcosa che avevo fatto e nemmeno mi ricordavo… - Disse sorridendo e contagiando anche le pieghe della mia bocca –
Se no mica ero così scemo di passare davanti a loro, no?
…Finita la scuola non avevo altro da fare che andare in giro a combinare guai, come diceva sempre quella povera donna di mia madre… Non avevo nemmeno da andare ad aiutare nei campi mio padre perché io non ce l’avevo… Sapevo solo che era partito quando mia madre era rimasta incinta di me e non si era più fatto vedere… Era quello che anche mia madre diceva da sempre a tutti. –
A quest’ultima affermazione notai un’ombra nel suo sguardo che mosse in me inaspettate emozioni.
- Dai, raccontami di uno scherzo – gli chiesi sia per naturale curiosità sia perché affascinato da sempre da storie vere di quei tempi andati.
- Era quello che stavo per dirti… Uno scherzo diventato famoso, in paese – ribatté lui
- Una sera d’estate convinsi i miei amici a fare uno scherzetto che ci avrebbe divertito come non mai…Andammo davanti al bar del paese e rimanemmo nascosti dietro una siepe davanti allo spiazzo dei carretti. Quando ritenemmo che tutti i soliti “paesani” fossero già entrati per la loro bevuta serale e forse per la loro rituale partita a “briscola chiamata” o a “scopa d’assi”, scambiammo i due asini ai carretti di due contadini che non si potevano sopportare fra loro  più di tanto.-
- Bello!! – dissi pregustandomi già l’inevitabile epilogo
- Si, già… E devi sapere che i due abitavano su due colline contrapposte agli estremi del paese.
Il primo ad uscire dei due fu il Pino che riuscì a malapena a sdraiarsi dietro il suo carretto e dare un biascicato ed incomprensibile segnale all’asino che comunque partì verso il posto che sapeva di dovere raggiungere. I primi cinquecento metri erano uguali per tutti e due, poi, al bivio del paese le strade si dividevano salendo appunto verso le contrapposte colline.
Il Pino, troppo “pieno” anche per restare sveglio, venne così portato davanti alla casa del Gigi, l’altro “paesano” che lui non poteva soffrire, ricambiato. –
A questo punto non potei fare a meno di scoppiare in una risata immaginandomi la faccia dei due davanti alla cascina dell’altro senza capire cosa fosse successo.
- Noi ragazzi seguimmo di nascosto per un po’ il Pino,faticando non poco a trattenerci dalle risate e poi tornammo davanti al bar aspettando l’uscita del Gigi.- Continuò Berto dopo aver accolto con soddisfazione palese il mio sonoro divertimento.
- Anche il Gigi salì sopra il suo carretto da dietro senza nemmeno guardare l’asino, si sdraiò e indusse in qualche maniera l’asino a muoversi. Solo che era un pelo più lucido del Pino ed al bivio si accorse della direzione “sbagliata” che l’asino stava prendendo.
Iniziò a bestemmiare,a gridare oscenità all’asino e percuoterlo addirittura col bastone. Ma l’asino, di cambiare direzione proprio non voleva saperne, non riconoscendo nel Gigi il padrone.
E si impuntò in mezzo al bivio e il Gigi a percuoterlo, a tirarlo, a spingerlo e gridargli contro ogni genere di maledizione. Comunque troppo ubriaco per accorgersi che l’asino non era il suo.
Noi, intanto, ci tenevamo la pancia per il troppo ridere… - finì a commento del momento ricordato, Berto.
- Davvero divertente, questo scherzo!... Certo che eri proprio una “bella sagoma”, tu, eh? – Gli dissi col sorriso stampato in volto. - …E poi come finì, questa storia? – aggiunsi per il gusto di un’ulteriore ciliegina narrativa.
- Beh,… Non troppo bene, a dir la verità.
- Dai, raccontami, allora…- Gli chiesi oltremodo incuriosito
-  Dunque… Il Pino, che intanto si era svegliato poco dopo il fermarsi del carretto, trovandosi dove non doveva essere cercò quasi certamente di ricordarsi qualche passaggio che aveva scordato della sua serata, diventando sempre più lucido per questo sforzo mentale e per lo spavento di questa confusione che lo stava sopraffacendo. Non passò molto che si accorse che attaccato al carretto non c’era il suo asino e con la convinzione che glie lo avessero rubato e messo un altro asino di minor valore al suo posto, decise di tornare col carretto al bar per vedere se l’avesse trovato, il suo di asino. Giunto al bivio si incontrò con un imbestialito Gigi che stava malmenando l’asino del proprio carretto. Pino si accorse quasi subito che l’asino malconcio era proprio il suo e gridarsi contro e passare alle mani fu un tutt'uno. A quel punto noi ragazzi scappammo spaventati.
- Ma non capirono poi di essere stati vittima entrambi di uno scherzo? – Chiesi io con una certa logica.
- Beh,…lo capirono tutti al mio paese – continuò lui - … Tanto che divenne equivocamente famoso come lo scherzo degli asini.
- Perché, equivocamente? – chiesi ancora
- Perché quando uno diceva ad altri se sapessero lo scherzo degli asini, era diventata maliziosa abitudine rispondere. “Quali asini? Quelli davanti al carretto o quelli sopra?” – Rispose rivelando una certa arguzia fra i suoi paesani.
- Chissà allora cosa ti avranno fatto passare quei due contadini, eh? – chiesi con ovvia deduzione.
- No…Non credo che questa fu una loro priorità. Devi sapere che l’asino di Pino, in seguito alle percosse di Gigi, non si riprese più. Già non si potevano soffrire e questo episodio amplificò il loro rancore. Qualche mese dopo Gigi trovò il suo asino morto fuori dal bar in seguito ad una forte bastonata in testa. Anche l’assenza di una qualsiasi prova non intaccò mai in lui la convinzione che l’autore del gesto era stato proprio il Pino, per ovvia ripicca.
Come a nessuno venne mai meno la certezza che l’incidente di caccia in cui perse la vita Pino non fosse stato un incidente…
- Cavoli! Addirittura un epilogo così drastico, per questa storia !? – Dissi d’impulso a Berto che aveva perso ormai ogni intenzione di spacciare questa storia per goliardica evocazione
- Si…Ma ti rendi conto?! Ammazzare un uomo per uno stupido scherzo!! …Per un MIO stupido scherzo… - Finì di dire col pianto in gola.
- Ma tu eri un bambino…Non potevi sapere della stupidità di un certo tipo di persone! – Gli dissi, cercando di consolarlo.
- Ma un uomo è stato ammazzato!!...Non capisci?! – Replicò lui quasi in un gemito.

Turbato dai risvolti pesanti di questo racconto, per Berto, mi offrii di accompagnarlo personalmente a casa, rassicurandolo che la sua macchina sarebbe stata al sicuro, lì davanti al bar.
Ero infatti certo che non fosse in grado di tornare a casa propria autonomamente.
Chiusi definitivamente il locale e mi feci spiegare esattamente dove abitasse.
Durante tutto il viaggio Berto rimase silenzioso ed io mi accodai ai miei pensieri di bambini e di asini. Grazie ad alcuni monosillabi in risposta arrivai davanti alla sua casa.
Gli chiesi se era tutto a posto e lo salutai, assicurandomi che nel corso della  giornata avesse qualcuno che lo accompagnasse al mio bar per riprendersi la macchina.
Ma non sapevo che alla storia degli asini mancava un ultimo drammatico particolare.
Con la portiera già aperta, Berto si voltò un’ultima volta verso di me e stringendomi il polso mi disse:
- Sai…Quel paesano ammazzato…Il Pino… Qualche anno dopo sono venuto a sapere da mia madre che era lui, mio padre… -
Rimasi senza parole.
Mi limitai a seguire la sua figura barcollante entrare nel vialetto di casa.


(da: "Corti Circuito  - Racconti brevi dal filo scoperto")

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